Studiando la storia organizzativa vediamo l’emergere di due approcci: hard e soft. L’approccio hard sottolinea l’importanza di strutture e tecnologie in grado di affrontare le turbolenze ambientali. Il successo delle aziende giapponesi che, negli anni ’70, sorpassarono l’industria automobilistica americana, apre la riflessione sugli approcci morbidi (soft). Tali approcci vogliono privilegiare gli aspetti culturali, simbolici e riflessivi, legati anche al conferimento di senso dei soggetti coinvolti.
Da quel periodo gli approcci morbidi iniziano a farsi spazio e i fenomeni culturali vengono studiati da varie prospettive: cultura d’impresa, cognitivismo culturale, cultura come sistema di simboli e infine cultura come sistema di valori e credenze.
La prospettiva della cultura d’impresa considera la cultura una variabile o un sottosistema dell’organizzazione come struttura, tecnologia ecc., che influenza il comportamento di management e dei dipendenti, e che può essere creata, sviluppata e modificata dai fondatori e dal management attraverso “ingegneria culturale” e “design culturale”. Questa prospettiva appare tanto allettante quanto controversa, all’interno di essa le persone rischiano di essere manipolate e controllate da tale cultura che diventa normativa.
Un esempio emblematico di una cultura normativa creata ad hoc, è rappresentato nel film “Tutta la vita davanti” di Virzì. La protagonista, una brillante neolaureata con i massimi voti, si trova a lavorare in un call center. All’inizio sembra un posto fantastico: ogni giorno inizia con le danze e i messaggi motivazionali, vengono dati riconoscimenti e premi per i più meritevoli. Dopo un po’ però la protagonista scopre l’altro lato della medaglia: la tirannia di controllo di chi sta in alto, le umiliazioni pubbliche di chi non riesce a raggiungere i risultati, gli impiegati esaltati o affetti da burnout, i continui licenziamenti di chi non riesce ad adattarsi al sistema spietato o prova a parlarne con i sindacati.
Per i rappresentanti del cognitivismo culturale la cultura è totalmente soggettiva e dipende del senso che le attribuiamo. Questa prospettiva pone l’accento sull’interpretazione che diamo alle nostre esperienze e al mondo esterno attraverso delle mappe causali dotate di senso e di ordine logico. Il cognitivismo culturale, anche se da una parte ci preserva da una visione troppo armoniosa e universale della cultura organizzativa, dall’altra si limita ad analizzare solo alcuni suoi aspetti, trascurando la dimensione emotiva, affettiva e collettiva dei fenomeni in questione. Il cognitivismo culturale purtroppo non facilita lo studio della cultura organizzativa, anzi lo complica rendendo difficile la collocazione delle strutture di riferimento e delle mappe mentali dentro la struttura organizzativa totale.
Anche questa prospettiva vede la cultura come una realtà basata sull’interpretazione, ma rispetto alla precedente recupera la “fisicità” delle percezioni sensoriali ed emotive. Non si focalizza, cioè solo sulle idee astratte, ma è possibile studiarla all’interno del suo contesto naturale ricco di simboli, interazioni umane, artefatti e significati. Secondo questa prospettiva gli artefatti, ossia le manifestazioni fisiche e comportamentali visibili in un’azienda, influenzano sia le azioni che le percezioni della realtà. Questa visione ha i suoi limiti però perché rischia di essere troppo ambigua e troppo influenzata dai propri sentimenti e reazioni.
Il rappresentante principale di questa prospettiva è Edgar Schein. Secondo Schein la cultura si articola su tre livelli – artefatti, norme e valori espliciti, credenze e assunti di base – dove i primi due sono semplici manifestazioni del terzo. Più precisamente:
Secondo Schein, per conoscere la cultura bisogna esaminare i suoi livelli più profondi, sottostanti agli schemi comportamentali e agli altri artefatti.
Tra le varie prospettive che abbiamo elencato, a titolo di introduzione, la prospettiva sulla cultura organizzativa come sistema di valori e credenze appare come quella più completa e più affidabile per avvicinarci al tema. Infatti Schein non considera la cultura come una variabile da manipolare, ma piuttosto come una realtà da conoscere e analizzare ai vari livelli, soprattutto al livello dei valori espliciti ed impliciti (assunti) per scoprire la sua vera essenza. La cultura è vista come l’elemento più importante di un’organizzazione, che permette di spiegare la struttura, le scelte strategiche e la condotta dei singoli individui.
Peters e Waterman analizzando le aziende americano di successo affermano l’importanza di una chiara percezione dei valori su cui poggia l’organizzazione per raggiungere il successo. Gli autori hanno individuato sette valori che caratterizzano le aziende di successo:
Se oltre ad analizzare le aziende di successo guardiamo anche quelle che hanno subito la crisi, appare chiaro che tra i valori più importanti in questo momento sono i valori etici. Ne abbiamo parlato in questo articolo.
È difficile trovare una definizione univoca del concetto di empowerment. Uno dei primi tentativi è stato fatto da Rappaport il quale descrive l’empowerment come un processo che permette a individui, gruppi e comunità di accrescere le loro capacità di controllare attivamente la propria vita. Un aspetto importante di empowerment è la reponsabilizzazione, ma non è tutto. Secondo Blanchard, Carlos e Randolph,
“La vera essenza dell’empowerment consiste nel liberare il patrimonio di conoscenze, di esperienze e di motivazione che è già presente nei lavoratori, ma è fortemente sottoutilizzato”.
Come ottenere il massimo coinvolgimento di collaboratori? E’ una domanda che si pongono continuamente numerosi manager e responsabili delle risorse umane. La risposta non è semplice. Per arrivare al massimo coinvolgimento dei collaboratori bisogna attraversare e integrare diverse fasi: informazione, consultazione, condivisione, delega e finalmente empowerment. Infatti, l’empowerment, non è un fenomeno in bianco e nero, ma piuttosto un processo che può essere continuamente sviluppato e migliorato attraverso la leadership, i gruppi di lavoro, l’organizzazione e quindi la cultura organizzativa.
L’empowerment organizzativo si propone di sviluppare una cultura empowering con gli individui empowered. Empowering culture appare come una cultura contrapposta alla cultura del controllo, centrata sulle persone e sulle loro potenzialità, dove si respira un clima di fiducia e comunicazione aperta, dove c’è spazio per il divertimento e l’apprendimento continuo. Tale cultura stimola l’innovazione, in quanto favorisce l’assunzione di nuove prospettive ed esperienze, la ridefinizione di se stessi e del proprio ruolo all’interno dell’azienda e stimola nuovi stili di comportamento, i quali portano a dei risultati sorprendenti e innovativi. Tali risultati, se sostenuti e incoraggiati da parte del management e di tutta organizzazione, non fanno che migliorare l’apprendimento e aumentare l’autostima dei lavoratori che saranno ancora più propensi ad “empowerizzare” se stessi e gli altri in un circolo virtuoso.
Un esempio emblematico di una cultura empowerizzante è Google che è riuscita ad attirare i migliori talenti non solo attraverso i numerosi benefit e gli spazi colorati, ma soprattutto attraverso i valori, la fiducia, la libertà e la creazione delle condizioni in cui i creativi smart possano sprigionare la loro creatività, essere incoraggiati a realizzare le loro idee e a migliorare il mondo. Project Oxygen, Project Aristotle e gli studi sul gDNA mirano a migliorare la cultura organizzativa e il benessere dei googler attraverso l’analisi dei dati i quali guidano ogni processo decisionale. Tra i risultati più interessanti di questi studi possiamo elencare 5 caratteristiche delle dinamiche nei team efficaci che creano migliori condizioni per un’ottima performace:
Il risultato della cultura empowerizzante di Google sostenuta dai leader empowering e dalle persone competenti è l’innovazione continua, un requisito fondamentale per competere sul mercato caratterizzato dai continui mutamenti.
A questo punto, forse ti stai chiedendo cosa fare per migliorare la tua cultura organizzativa. Se sei un manager esercita la tua leadership basandola sui valori etici. Come dicono Peters e Waterman,
“definire con precisione il sistema di valori e infondervi linfa vitale è il contributo più prezioso che un leader possa dare alla sua organizzazione”.
Inoltre, il compito del management, dotato di leadership, è quello di riconoscere l’importanza delle persone e trasmettere loro il sogno da raggiungere. Appare chiaro che non si può costruire una cultura eccellente senza mettere al centro le persone, senza facilitare la loro libertà, creatività ed autonomia.
Come introdurre invece l’empowerment nella propria azienda? Blanchard, Carlos e Randolph hanno scritto un libro sul tema, intitolato “Le tre chiavi dell’empowerment. Come liberare il potenziale dei collaboratori offrendo dei risultati entusiasmanti”.
La prima chiave, secondo gli autori, è la condivisione delle informazioni. Non serve mettere in azienda gli slogan sull’empowerment, se poi non si dà ai collaboratori la possibilità di agire responsabilmente grazie alle informazioni messe in comune. La seconda chiave permette l’autonomia dei collaboratori attraverso la creazione di confini. Al contrario delle strutture gerarchiche le quali inibiscono il comportamento delle persone, i confini definiscono i limiti in cui le persone sono libere di operare. La terza chiave opera nel graduale processo di sostituzione della vecchia gerarchia con i team autodiretti. Tante decisioni sono molto complesse e richiedono uno sforzo di più persone per produrre dei risultati desiderati. I team sono più efficaci in queste situazioni e possono offrire un’elevata performance.
Diversi studi hanno riscontrato una correlazione positiva tra cultura e performance economica. Tra questi emerge in particolare un’ampia ricerca di Kotter e Heskett su più di 200 grandi aziende statunitensi pubblicata nel loro libro “Corporate Culture and Performance”. Gli autori hanno scoperto che buoni risultati finanziari sono associati alle culture aziendali forti che facilitano l’adattamento. Tali culture inoltre attribuiscono un grande valore ai dipendenti, ai clienti e agli shareholders, legittimando tutti i suoi membri (empowerment) ad attuare i cambiamenti necessari per soddisfare le nuove esigenze dei clienti.
Tra i vari tipi di cultura organizzativa (gerarchica, di clan, di mercato, adhocratica), quest’ultima, chiamata anche adattiva o imprenditoriale, è quella che sembra avere il maggior impatto sul successo, in quanto favorisce la creazione di prodotti e servizi innovativi mediante l’adattabilità, la creatività e la rapidità nel rispondere ai cambiamenti del mercato. Al contrario di una cultura gerarchica che tende a controllare i propri dipendenti, la cultura adhocratica cerca di creare condizioni in cui le persone si sentano libere di creare, di assumersi rischi ed esprimere il loro potenziale.
I risultati di undici anni di ricerca empirica di Kotter e Heskett sull’impatto di una cultura flessibile, adattiva, che valorizza i propri dipendenti, clienti e azionisti e stimola l’empowerment, parlano da soli: crescita di fatturato del 682 per cento nelle aziende con una cultura positiva contro 166 per cento in quelle con una cultura debole; incremento dell’occupazione di 282 per cento contro 36 per cento; crescita del valore azionario del 901 per cento contro il 74 per cento; crescita del reddito netto di 756 per cento contro 1 per cento. Bisogna ricordarsi però che non esistono organizzazioni soltanto adhocratiche o gerarchiche, ma piuttosto miste con le caratteristiche associate ad ogni tipo di cultura.
Alvesson Mats, Berg Per O., L’organizzazione e i suoi simboli, Cortina, Milano, 1993 (1992).
Blanchard Kenneth, Carlos John P., Randolph Alan, Le tre chiavi dell’empowerment. Come liberare il potenziale dei collaboratori offrendo dei risultati entusiasmanti, FrancoAngeli, Milano, 2016 (2001).
Gnatowska Urszula, Empowering culture & innovation. La chiave di successo di Google. Tesi di laurea magistrale, Università di Roma La Sapienza, A/A 2017/2018.
Kotter International, Does corporate culture drive financial performance?, Forbes, 10 Feb 2011, <http://www.forbes.com/sites/johnkotter/2011/02/10/does-corporate-cul- ture-drive-financial-performance/#1a7a3f63672d>.
Peters Thomas J., Waterman Robert H. jr., Alla ricerca dell’eccellenza. Lezioni dalle aziende meglio gestite, Sperling & Kupfer, Milano, 1984 (1982).
Quinn Robert E., Spreitzer Gretchen M., The Road to Empowerment: Seven Questions Every Leader Should Consider, “Organizational Dynamics”, vol. XXVI, n. 2, September 1997, pp. 37-49.
Schein Edgar H., Cultura d’azienda e leadership. Una prospettiva dinamica, Guerini, Milano, 1990 (1985).